SOCIALITA’
L’Italia ha bisogno di una significativa cura ricostituente, dopo anni di svendite o di collusione coi grandi affaristi locali ed extra locali.
Immaginare che essa possa offrire un’elevata qualità di vita ai propri cittadini senza investire in settori strategici quali sanità, energia, edilizia pubblica e privata ed enti locali, significa credere alle favole.
Le pesanti cure dimagranti della spesa pubblica stabilite a livello europeo e avallate da ben trent’anni in Italia sia dai governi di sinistra che da quelli di centro-sinistra, oltre a indebolire lo Stato, hanno reso gli enti regionali e locali sempre più fragili e li ha indotti a smantellare le proprie strutture a favore dei privati, che ovviamente badano a fare profitti e non a offrire servizi.
Come detto, sono quattro i settori strategici su cui investire per realizzare questa necessaria cura ricostituente:
La salute dipende da molti fattori: da una buona qualità dell’acqua, da una buona nutrizione, dall’attività fisica, dall’avere un lavoro, da un buon inserimento nella vita sociale, dal vivere in un ambiente sano e incontaminato, dalle conoscenze delle principali malattie endemiche del posto e la loro prevenzione e cura. La salute inoltre può dipendere dalla accessibilità ai servizi sanitari, dalla gratuità o meno degli stessi, e dalla qualità delle cure ospedaliere e del territorio.
È compito delle istituzioni nazionali e locali fornire un’educazione sanitaria sui corretti stili di vita, mantenere un ambiente di vita e lavorativo sano, fornire le strutture per l’attività fisica, istituire politiche per il pieno impiego con salari dignitosi e infine garantire cure di buona qualità e gratuite.
Le Regioni e le Province hanno la delega in materia di gestione del servizio sanitario e devono dare risposta ai bisogni di salute dei cittadini nei settori della prevenzione, della cura e della riabilitazione. Purtroppo, per recuperare risorse, le Regioni e le Province decidono spesso di attingere dal capitolo di spesa più importante, cioè la sanità, generando malfunzionamenti per i cittadini e condizioni di forte stress per il personale.
La riduzione della spesa sanitaria pubblica ha determinato un progressivo aumento dell’accesso al settore privato e ha ridotto il livello quantitativo e qualitativo delle prestazioni sanitarie, nonostante in passato sia sempre stato un fiore all’occhiello.
Un’attenzione particolare deve essere posta ai problemi delle persone disabili che sono dimenticati nel loro mondo di sofferenza, deve essere una priorità, un punto centrale dove il diritto alle cure che deve essere garantito con privilegi nei servizi di assistenza medica e assistenza sociale con l’incremento dell’assegno di accompagnamento, attualmente gravemente insufficiente per qualsiasi cosa.
In ambito sanitario propongo di:
Da più di un secolo l’Italia gode di una ricchezza enorme, rappresentata dal cosiddetto oro bianco, ovvero l’acqua utilizzata nelle centrali idroelettriche. Tale ricchezza non può diventare l’ennesimo esempio di speculazione di fondi e società private che sfruttano un bene pubblico per staccare ricchi dividendi agli azionisti.
L’aumento delle bollette energetiche, dovuto quasi esclusivamente a vergognosi mercati speculativi come il TTF olandese, ha messo in difficoltà non poco le famiglie italiane, dimostrando ancora una volta che il mercato privato dei beni pubblici non è efficiente e al servizio dei cittadini, ma serve esclusivamente ad arricchire parassiti ed investitori.
Ricordiamo, inoltre, che è l’Unione Europea, tramite una delle tante condizioni del PNRR, a imporre l'obbligo di concorrenza sulle concessioni energetiche (per noi idroelettriche) permettendo che un tesoro pubblico come l’oro bianco dei nostri bacini diventi oggetto di speculazione privata.
Io propongo che:
La casa è un bene essenziale per la costruzione di una vita autonoma e per il benessere di tutti i cittadini italiani. Le spese per l’acquisto della prima casa o per l’affitto rappresentano la voce più onerosa nel bilancio familiare e non possono essere ridotte, né cancellate. Quindi, è indispensabile che la Provincia si faccia carico di un bisogno primario, garantendo in qualsiasi modo l’accesso a condizioni accettabili per tutti all’acquisto della prima casa o al pagamento dell’affitto.
Io propongo che:
In un contesto difficile e frammentato in termini di insediamenti come quello italiano, gli enti locali rappresentano spesso presidi fondamentali per il cittadino per garantire i servizi principali e la cura del proprio territorio. Tuttavia, i nostri Comuni hanno spesso organici sottodimensionati e godono di limitate risorse a disposizione.
Il patto di stabilità interno e la tendenza a un ridimensionamento del pubblico impiego a livello nazionale (voluti e sostenuti sia dal sinistra che dal centro-sinistra) hanno impedito nuove assunzioni, limitando gli organici e impedendo la sostituzione del personale pensionato.
Le assunzioni possibili si fanno quindi a tempo determinato e non è un caso che in pochi anni si sia passati dall'11% al 13% di contratti precari, soprattutto negli enti periferici. Questi ultimi diventano posti di lavoro di passaggio, in attesa di qualche altro sbocco professionale a tempo indeterminato, causando un turn-over insostenibile che in posizioni delicate finisce per impedire la formazione del personale e la normale attività dei Comuni nel garantire i servizi essenziali.
La complessità amministrativa crescente impone agli enti locali processi e procedure che ormai sono richiesti in modo diffuso anche a quelli più piccoli e che, senza organici stabili e ben formati, diventano ostacoli insormontabili. Pensiamo per esempio alle normative sugli appalti o ai bandi PNRR e a quanti Comuni italiani sono impossibilitati a sviluppare progettazioni e iter complessi come quelli richiesti per accedere alle risorse messe a disposizione.
Le strutture intermedie come le Comunità di Valle, infine, non sono sempre efficaci nell’affiancare e supportare i Comuni più piccoli che necessitano di competenze e di personale che non hanno.
Per fare fronte a questa situazione, io vorrei:
politiche;
PROTEZIONE CIVILE
Il meccanismo di protezione civile dell'UE coordina la risposta alle catastrofi naturali e provocate dall'uomo a livello dell'UE e mira a:
Oltre ai 27paesi dell'UE, partecipano al meccanismo alcuni paesi terzi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia, Turchia e Ucraina.
Nel settembre 2023 il Consiglio ha dato il via libera alla partecipazione dellaMoldovaal meccanismo di protezione civile dell'UE. Già ad aprile anche l'Ucrainaha aderito al meccanismo in qualità di Stato partecipante.
IlCentro di coordinamento della risposta alle emergenze(ERCC) è il cuore operativo del meccanismo di protezione civile dell'UE: monitora gli eventi in tutto il mondo 24ore su24, 7giorni su7, e coordina gli sforzi dell'UE di risposta alle catastrofi.
Anche le mappe satellitari prodotte dalservizio di gestione delle emergenze di Copernicussostengono le operazioni di protezione civile. Le informazioni geospaziali tempestive e precise fornite da Copernicus sono utili per identificare le zone colpite e pianificare le operazioni di soccorso in caso di catastrofi.
Il meccanismo comprende unpool europeo di protezione civile. Si tratta di un pool volontario di risorse preimpegnate dagli Stati membri per essere dispiegate immediatamente all'interno o all'esterno dell'UE.
Nel 2019 l'UE ha istituito lariserva rescEU,che comprende:
Il meccanismo di protezione civile dell'UE contribuisce inoltre a coordinare le attività dipreparazione e prevenzione delle catastrofisvolte dalle autorità nazionali e contribuisce allo scambio delle migliori pratiche.
Per garantire una migliore risposta alle sfide future, nel maggio 2021 il Consiglio ha adottato un nuovo regolamento per rafforzare il meccanismo.
Le nuove norme forniscono all'UE risorse supplementari per rispondere ai nuovi rischi nell'UE e oltre e rafforzare la riserva rescEU.
Nel novembre 2023 l'UE ha adottato una decisione sui finanziamenti per aerei ed elicotteri antincendio fino alla fine del 2027.
Gli eventi meteorologici estremi dovuti ai cambiamenti climatici stanno diventando sempre più frequenti, intensi e persistenti.
Pertanto, nel marzo2022 il Consiglio ha adottato conclusioni in cui invita adadattareulteriormentei sistemi di protezione civile alle conseguenze dei cambiamenti climaticisia in materia di prevenzione che di preparazione, risposta e ripresa.
In tale contesto, gli Stati membri sono incoraggiati a:
Queste conclusioni rappresentano un passo importante verso il rafforzamento della resilienza dell'UE.
Portare in Italia il sistema di protezione Civile Europeo é una delle mie priorità, perché ci sono i fondi europei per farlo, ma serve una energica decisione politica per rendere tutto questo una realtà.
SCUOLA
La scuola deve insegnare come pensare ai nostri figli, non cosa pensare. Abbiamo assistito, dalla scuola primaria a quella secondaria, a sperimentazioni fallite ed effettuate solo per ragioni propagandistiche come il Clil o l’Alternanza Scuola Lavoro (frutto obbrobrioso del governo Renzi e mai contestato in Provincia da centro-sinistra o sinistra) che tolgono tempo agli studenti italiani e li rendono partecipi di vere e proprie farse, che qualsiasi ragazza e ragazzo potrebbe descrivere a lungo, con particolari grotteschi.
La scuola esiste se permette, senza timore e con fermezza, a bambini e ragazzi di “fiorire”, cioè di realizzare le proprie potenzialità culturali. Gli studenti, infatti, sono studenti e non utenti che si rivolgono a un ufficio qualsiasi e pretendono di avere la soluzione facile a tutte le loro domande. E le scuole sono scuole, non piccole aziende che si strappano gli iscritti a suon di mode e di pubblicità ingannevoli e ridicole.
Purtroppo, la legge sull’autonomia scolastica ha trasformato il mondo dell’educazione in un mercato delle vacche che si rende ridicolo e finisce per essere poco credibile.
Come si può recuperare questa fondamentale credibilità?
La scuola deve fare la scuola. Ovvero, essere un’istituzione forte che accompagni migliaia di bambini e ragazzi a capire il mondo che li circonda, ad approfondire e non limitarsi ai luoghi comuni, a studiare seriamente la teoria per poi applicarla alla realtà, a costruirsi un senso del dovere che non sia semplice obbedienza agli ordini. È necessario dotare ogni studente della capacità critica di comprendere la complessità del nostro mondo e operare scelte sostenute da buone ragioni, senza sterili omologazioni.
La scuola, in sintesi, deve essere un luogo di apprendimento e di cultura. Nient’altro. Le mode tecnologiche (ricordate la disastrosa Dad che ha ridotto le capacità di apprendimento degli studenti?) e le mode pedagogiche (come i già citati Clil e ASL) vanno subito abbandonate per avere più tempo per le relazioni culturali e umane tra docenti e studenti.
La scuola ha il compito di contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali.
Migliaia di bambini e ragazzi italiani, nel pomeriggio, sono abbandonati a loro stessi, spesso perché i genitori sono impegnati in turni di lavoro sempre più lunghi o incompatibili con la loro presenza a casa.
La scuola non può permettersi che questi bambini e ragazzi si perdano, magari in ore e ore di navigazione online alienante e senza senso.
Per questo, gli istituti scolastici devono vivere sia al mattino che al pomeriggio, svolgendo al proprio interno le attività utili all’educazione (compresi lo svolgimento dei compiti e degli esercizi).
Tuttavia, ciò non è possibile senza un significativo aumento del personale, affinché le diverse e impegnative attività vengano opportunamente distribuite.
Pensare di “investire senza investire” è tipico dei ministri di centro-sinistra che si sono succeduti e che hanno preso in giro i italiani per quasi vent’anni a suon di mode e riforme senza spendere un centesimo in ciò che davvero serve.
Il PNRR, oltre che una tagliola degna di uno strozzino, ha assunto connotati farseschi nella scuola.
Nel corso dell'ultimo anno, gli istituti scolastici italiani si sono ingegnati per capire come spendere i soldi finalizzati a trasformare la facciata della scuola (qualche computer, l’ennesimo proiettore che tra qualche anno sarà obsoleto, qualche inutile aula degna di un romanzo da fantascienza, ipotetici laboratori per professioni tanto fumose quanto illusorie), ma nessun centesimo di questi investimenti finirà per sostenere le spese che servono davvero a far funzionare la scuola:
La scuola non è un’azienda. Infatti, non produce merci, i suoi docenti non sono impiegati e i suoi studenti non sono utenti.
Equiparare la scuola a un’azienda (spesso in concorrenza con la altre) ha tolto credibilità alla scuola stessa, trasformando il luogo dove bambini e ragazzi passano gran parte del loro tempo per crescere culturalmente e umanamente, in edifici pieni di contraddizioni, ipocrisie e falsi moralismi.
In questo senso, va ristrutturato l’intero dipartimento provinciale, a partire dai suoi dirigenti, che ha sposato la linea aziendalista tanto dannosa e contraria al sano sviluppo di bambini e ragazzi. L’impianto pedagogico che ha ispirato i “vertici” va azzerato e sostituito con un impianto che apra a una logica anti-aziendalista e più umana, anche attraverso percorsi di formazione per studenti, docenti e genitori sulle relazioni interpersonali. Ciò non significa cedere a deleterie derive "buoniste", ma sostituire l’idea che studenti e docenti debbano rispondere a performance tipiche delle macchine e non dell’essere umano.
Fra gli ordini di scuola va inserita a pieno titolo anche la scuola dell’infanzia, investita dalle polemiche a seguito del prolungamento dell’anno scolastico fino al mese di luglio deciso dall’assessorato di Bisesti e da anni luogo dove avviene una grande discriminazione per cui si impedisce ai bambini non vaccinati di iscriversi, sottraendo loro un diritto e isolandoli dal contesto di vita tra pari.
La scuola dell’infanzia è un patrimonio della collettività e non può e non deve essere a disposizione dell’assessore di turno per operazioni di facile consenso. Ogni proposta di cambiamento che la riguardi deve essere oggetto di confronto politico che tenga ben presente le finalità della scuola stessa, la dimensione pedagogica e l’esperienza di chi lavora in questo delicato e fondamentale ambito educativo.
La scuola dell’infanzia non può essere un semplice “parcheggio” per la custodia dei figli. Per questo io ribadisco la mia contrarietà alla sua apertura a luglio, che ne snatura il percorso scolastico annuale, con le sue fasi di osservazione, di progettazione e attuazione e delle attività educative, di cura del passaggio da e verso gli altri gradi educativi e scolastici.
I reali problemi dei genitori-lavoratori vanno affrontati garantendo più giorni di ferie retribuite e orari di lavoro più compatibili con le esigenze delle famiglie. Ovviamente, dove necessari, si possono proporre servizi estivi strutturati sulle reali esigenze. Inoltre, poiché è sempre più difficile trovare nell’ente pubblico risposte in tempi adeguati ad avere valutazioni e terapie di fronte agli eventuali disturbi evolutivi dei bambini, accade che
chi se lo può permettere si rivolge ad enti privati, mentre chi non può perde mesi importanti per le possibilità di sviluppo e apprendimento del bambino nell’ attesa di una presa in carico da parte del servizio pubblico. Per questa ragione, è necessario quindi anche incrementare gli organici dei servizi e delle professionalità (neuropsichiatri infantili, logopedisti, psicomotricisti) dedicate alle problematiche dell’età evolutiva.
Infine, dichiaro la mia contrarietà al sistema e alla logica del modello “0-6 anni” perché finisce per snaturare realtà educative che hanno necessariamente finalità e metodi molto diversi tra loro.
La questione giovanile risulta alienata e racchiusa tra le gabbie delle poche possibilità riservate ai giovani stessi.
La condizione scolastica superiore vede ancora oggi studenti impegnati in infrastrutture pericolanti che bisogna assolutamente ristrutturare.
Gli studenti universitari, invece, risentono ogni anno dei crescenti affitti i cui costi sono insostenibili per famiglie a basso reddito. Serve un serio intervento del settore pubblico per integrare le quote affittuarie.
Mancano inoltri spazi aperti ove i giovani possono essere formati anche autonomamente, mentre i pochi luoghi aperti alla gioventù sono nicchie volutamente prive di qualunque costruzione di pensiero critico, dove le poche attività si limitano al ludico e all'omologante.
Le spese formative e in generale per la gioventù sono i migliori investimenti per il futuro dell’intero nostro Paese, hai per quel che paghi.
CACCIA E TIRO A SEGNO
A livello europeo, la caccia è una attività praticata da oltre 10 mila anni e oggi coinvolge ben 7 milioni di persone, 120 mila aziende famigliari con 800.000 lavoratori. Oggi la caccia intelligente è orientata e gestita secondo criteri scientifici, rispettosa dell’agricoltura e dell’ambiente. Essa rappresenta uno degli elementi fondamentali nella conservazione ambientale e faunistica. Occorre fare fronte alle spinte oltranziste dell’animalismo militante, che mirano a limitare o addirittura vietare questa attività, su indicazioni erratamente emotive, invece che affidarsi alle leggi biologiche e alle conclusioni scientifiche delle istituzioni, scaturite dal confronto con le associazioni venatorie e agricole. Le quali studiano e conoscono in modo più approfondito il territorio e le tematiche connesse. La caccia, infatti, rientra in un concetto più ampio di ruralità, che è la vera tutela del territorio.
Circoscrivere l’uso del piombo extra zone umide: a fronte di una timeline molto pressante da parte del comitato Reach, per la messa al bando del piombo non solo a caccia nelle zone diverse dalle zone umide, ma anche nell’attività sportiva, permangono le problematiche tecnico-industriali relative ai materiali alternativi. In particolare, per quanto riguarda i piccoli calibri e l’aria compressa, occorre il massimo impegno quotidiano perché il progetto di messa al bando del piombo non si trasformi in una minaccia reale per le attività del tiro sportivo, specialmente in quegli impianti di tiro nei quali già da anni il recupero del piombo è assicurato.
L’attività sportiva o caccia con armi da fuoco sono oramai transnazionali a livello europeo. Ancora oggi, tuttavia, esistono numerose problematiche al di fuori dei propri confini nazionali, che sono motivate delle differenze a livello normativo dei singoli Paesi membri. Occorre armonizzare subito le legislazioni e le procedure per i tiratori sportivi e tutti i cacciatori, che praticano attività a livello internazionale, affinché esse siano semplici, omogenee, sicure e chiare per tutti.
Il giusto contrasto al commercio illegale di armi non deve essere il pretesto in ambito europeo per imporre, con lo strumento della direttiva europea, limitazioni sulle armi legalmente acquistate, trasportate e detenute. Le quali nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei cittadini. Queste limitazioni si riflettono inutilmente sui privati e soprattutto sulle aziende artigiane che operano nel settore, che nulla hanno a che vedere con il commercio di armi militari, bensì per le attività di vendita e produzione in ambito sportivo, venatorio, collezionistico. Occorre dire basta senza paura e invertire la rotta in questo senso, su basi logiche e scientifiche, non emozionali. C’è bisogno di una persona che eserciti una specifica quanto puntuale educazione nei confronti dei media e dei parlamentari europei, al fine di far comprendere in modo chiaro e netto quali sono le distinzioni chiare.
Rispetto al commercio, il trasporto, il possesso legittimo di armi occorre far capire bene la differenza, terminologica e sostanziale tra i vari ambiti che sono tra loro diversissimi, la confusione mentale su questi argomenti ha creato già troppi danni. In modo particolarmente ampliati da provvedimenti normativi scritti con un linguaggio confuso, non specifico e non tecnico. Per esempio: il 22LR non è munizione da arma corta, lo dice il suo nome stesso (long rifle). Serve chiarezza e armonizzazione.
Non ultima l’agricoltura che va protetta e incentivata, soprattutto per aziende sotto i 200 ettari, ovvero famigliari. Essa è l’arte e la pratica di coltivare la terra per ottenerne prodotti sani per l’alimentazione delle persone e degli animali e anche per la produzione materie prime per numerose industrie (cotone, lino, semi oleosi e così via). In senso più ampio, include anche l’allevamento del bestiame e la coltivazione dei boschi. L’agricoltura è il fondamento dell’economia dei popoli europei. Bisogna difenderla perché solo il contadino si prende cura, giorno per giorno, della sua terra. Il cacciatore questo lo capisce bene, lo rispetta, lo sostiene da sempre e lo insegna agli altri.
Il prossimo 8 e 9 giugno scrivi PASSONI sulla scheda elettorale, di fianco al simbolo di Forza Italia, per sostenere le tue RAGIONI in Europa.
LAVORO
Il lavoro rappresenta sia lo strumento principale per la realizzazione di una vita dignitosa delle persone e delle famiglie, sia una delle vie più importanti per lo sviluppo materiale e spirituale della società, come recita l’art. 4 della nostra Costituzione.
Il modello neoliberista che educa alla precarietà, alla distruzione dei legami sociali e impone una pressione psicologica insostenibile (“o hai successo o sei un fallito”) produce inevitabilmente milioni (In Italia, ma non solo) di disperati, ovvero di persone che non nutrono più speranza.
Ne sono un esempio i cosiddetti “neet”, ovvero persone che non studiano, né lavorano. Un numero esorbitante e preoccupante, che descrive un disagio dovuto principalmente a due fattori: la mancanza di lavori stabili con prospettive sicure e la sfiducia, se non addirittura l’apatia, nei confronti del futuro.
In sintesi: milioni di italiani stringono la cinghia, soffrono la precarietà, hanno perso la speranza. E il welfare provinciale risulta sempre più sbiadito, costringendo i cittadini a erodere tutti i propri risparmi o ad affidarsi ai pensionati (genitori o nonni che siano) per pagare le spese essenziali.
Di conseguenza diventa indispensabile avere una forza politica che sia:
Gli italiani possono tornare a vivere con maggiore serenità se possono contare su un lavoro stabile e ben pagato. Quanti di noi hanno subito, o conoscono persone che hanno subito, ricatti e minacce sul luogo di lavoro e si sono sentiti impotenti perché l’alternativa era di essere licenziato o spedito a lavorare chissà dove? Pensiamo al settore del commercio, dove i commessi sono stati costretti da anni a rinunciare al riposo festivo e a lavorare su turni sempre più disagevoli per garantire l’apertura dei negozi della grande distribuzione e alimentare nella logica perversa degli acquisti 7 giorni su 7.
Oppure al mondo di molte cooperative, specialmente nel cosiddetto terzo settore, che negli ultimi vent’anni si è alimentato grazie a salari miseri e a ricatti.
Sono prosperate realtà di vero e proprio sfruttamento, favorito dall’abbandono del settore pubblico che ha preferito esternalizzare, cioè appaltare i lavori a queste cooperative, anziché impiegare direttamente propri dipendenti al servizio dei cittadini.
Basti pensare che i dirigenti locali vengono persino premiati se riescono a esternalizzare, come se impoverire i servizi pubblici e favorire lo sfruttamento dei lavoratori delle cooperative fosse un merito.
Il servizio pubblico deve essere a carico del pubblico, con robuste assunzioni e la fine del blocco del turn-over, salari decenti e qualità adeguata.
Cosa succede se il tuo datore di lavoro ti paga poco o magari ti impone condizioni che ti portano ogni giorno a lavorare con rabbia, angoscia o nausea? Pur di non perdere il salario che ti consente di mantenere te e la tua famiglia, accetti tutto.
In poche parole, è quello che è avvenuto negli ultimi trent’anni. E non è un caso, come abbiamo visto in precedenza, che i salari siano diminuiti, mentre sono aumentati i precari e gli sfiduciati.
Una soluzione concreta a quella che è una vera e propria bomba sociale nelle nostre case è sicuramente quella del Piano di Lavoro Garantito (PLG).
Si tratta di un sistema già formalizzato, tra gli altri, dagli economisti Randall Wray e Bill Mitchell, che prevede la creazione di lavoro pubblico a livello locale (da noi comunale o di comunità di valle) offerto a chiunque lo desideri e sia rimasto senza lavoro o decida di abbandonare il proprio lavoro precario o sottopagato.
Tale offerta di lavoro prevede un salario minimo dignitoso (circa 12 euro l’ora, che del resto dovrebbe diventare anche il salario minimo previsto per i lavori assegnati con appalti pubblici) per lo svolgimento di attività pensate dalle realtà locali (comuni e/o comunità di valle) specialmente nei settori di utilità pubblica a basso profitto (solo per fare due esempi si pensi alla cura del territorio per evitare i disastri idrogeologici che conosciamo o all'ambito ludico-ricreativo spesso in mano a cooperative di sottopagati).
Grazie al PLG si ottengono ben tre vantaggi:
Se c’è stato un settore che negli ultimi decenni ha beneficiato di grandi aiuti pubblici e che, puntualmente, ha deluso le aspettative privatizzando gli utili e socializzando le perdite (ovvero, ha fatto cassa lasciando dietro di sé debiti poi pagati dall’ente pubblico) è quello delle grandi imprese.
Spesso descritte come la soluzione dai politici di centro-sinistra e sinistra che le hanno ampiamente foraggiate e aiutate, queste aziende non ci hanno pensato due volte quando si è trattato di fare armi e bagagli e trasferirsi altrove.
Anche nell’ambito del commercio, la grande distribuzione, favorita oltre misura dalle scelte delle giunte di centro-sinistra e sinistra, ha fatto un deserto attorno a sé, distruggendo quel tessuto di piccoli negozi che contribuiscono a tenere in piedi il tessuto sociale e a non trasformare le nostre città e le nostre valli in periferie tutte uguali e anonime.
Spesso centro-sinistra ha promesso una sburocratizzazione senza agire mai seriamente in tale senso. Liberare davvero le piccole imprese da molte incombenze inutili e ridondanti (come certi corsi formativi ripetitivi) è fondamentale affinché artigiani e negozianti possano continuare a lavorare.
Per questa ragione, agirò sempre a difesa dell’economia di prossimità, delle aziende locali e di tutto quel tessuto artigianale che per decenni ha rappresentato un nucleo fondante della nostra comunità e delle sue identità.
Un'altra sfida importante è costituita dall’aumento delle temperature e dalla gestione dell'acqua per l’irrigazione e la trasformazione della produzione primaria. Una riflessione profonda su dove e cosa coltivare dovrà per forza allontanarsi dall’idea che il presente sia immutabile e dovrà sviluppare, invece, un piano di intervento maggiormente sostenibile nei nuovi contesti.
Inoltre, la globalizzazione per come si è sviluppata negli ultimi 25 anni è finita. L'interruzione delle catene commerciali durante il cosiddetto “biennio Covid” e poi l'aumento dei costi di trasporto generati dalla speculazione e dalla guerra obbligano a prendere seriamente in considerazione il concetto di sovranità alimentare, facendo affidamento a produzioni e distribuzioni sempre più centrate sui bisogni dei territori e senza sconfinare nelle “facili tentazioni” sintetiche come avviene già nell'ambito delle carni.
Il modello italiano in questi anni è rimasto in piedi grazie a una sbilanciata propensione all'export delle monocolture più che alla valorizzazione del capitale paesaggistico e delle diverse eccellenze locali. Molto spesso produzioni insufficienti alla domanda sono state compensate da produzioni esterne che hanno reso, di fatto, i porti italiani un luogo di scambio e di “etichette” più che un luogo di produzioni di qualità.
Per questo motivo, un nodo da affrontare è quello interno alla cooperazione. Tra cooperative di primo e di secondo grado, tra modello industriale e modello artigianale, bisogna trovare un equilibrio che renda il sistema agricolo - ora esposto a pericolosi cambiamenti e incertezze - più sostenibile nel tempo e meno fragile.
In particolare, in un contesto come quello italiano il sistema di contribuzione esistente dovrebbe cambiare e favorire in maniera prioritaria i piccoli produttori e le giovani aziende agricole che mantengono quel modello di agricoltura di montagna a cui i consumatori danno sempre più valore.
Infine, un'altra sfida cruciale riguarda la capacità di sviluppare innovazioni tecnologiche e di promuovere produzioni a residuo zero che abbattano nel tempo l'uso dei prodotti fitosanitari.
Alcuni Stati sono vertice in Europa per uso di pesticidi, con notevoli danni per l'ambiente e, soprattutto, per la salute delle persone. Enti di formazione e ricerca si devono assolutamente impegnare per sviluppare un percorso verso l’utilizzo di varietà resistenti e coltivazioni davvero biologiche, visti i ridotti risultati della cosiddetta lotta integrata.
In stretta collaborazione con gli istituti esistenti sul territorio la politica europea deve assumersi l'onere di guidare queste importanti transizioni avviando sperimentazioni che possono poi essere estese a tutto il territorio provinciale.
Nell'attuale epoca di trionfo liberista e conseguente dissoluzione di ogni comunità, dove l'individuo si scopre isolato davanti ai poteri senza volto del grande capitale, bisogna avere il coraggio di ripartire dal primo fondamento della società: la famiglia. La famiglia è ciò che unisce in un legame di solidarietà tutte le generazioni, dagli anziani che sono il nostro passato ai giovani che ne sono il futuro. Famiglie solide sono meno ricattabili.
A tal proposito propongo:
AMBIENTE
Per individuare le più opportune proposte politiche in campo ambientale e della mobilità, occorre fornire un inquadramento chiaro di cosa sia l’Italia oggi.
Il rischio frane risulta maggiore rispetto alla media europea, il rischio alluvioni anche. Il 35,7% del territorio si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata. A fronte di un territorio che richiede continue necessità di intervento, soprattutto in merito alle attività di bonifica e di contenimento del rischio idrogeologico, le spese ambientali non sono aumentate negli ultimi anni e hanno inciso in modo pesante sul bilancio dello Stato.
Il consumo di suolo è più contenuto rispetto alla media europea, ma il dato per abitante è più alto. La produzione di rifiuti risulta in aumento per quanto riguarda i rifiuti speciali, ovvero quelli prodotti dalle utenze non domestiche, come anche la produzione dei rifiuti urbani (in particolare quelli indifferenziati) risulta costantemente in aumento.
La scienza ci dice che il surriscaldamento globale è causato da una inclinazione maggiore dell’asse terrestre, il quale genera maggior produzione di CO2.
Il settore energetico venga gestito “dal pubblico per il pubblico”, senza cedere alcuno spazio ai fondi di speculazione privati e tutelando i cittadini in ogni modo possibile dagli sbalzi di mercato che erodono i redditi di migliaia di famiglie, anche con tariffe calmierate.
L’obiettivo del “nucleare pulito”, quello da fusione, è nelle mani della ricerca. Che sta facendo passi avanti. Uno dei poli internazionali di innovazione è il Consorzio EUROfusion che può contare su circa 4.800 scienziati provenienti da 30 istituti membri e 152 entità associate di 28 Stati europei (25 Paesi Ue, Regno Unito, Svizzera e Ucraina).
Il Consorzio ha firmato il secondo accordo per lo sviluppo dell’energia da fusione del valore di oltre 1 miliardo di euro per gli anni 2021-2025. Grazie a questo nuovo accordo, che comprende un contributo europeo di oltre 550 milioni di euro dal nuovo programma quadro di ricerca Horizon Europe, EUROfusion coordinerà il programma di ricerca definito nella “Roadmap europea per l’energia da fusione”. L’Italia, secondo partner più importante del consorzio dopo la Germania, riceverà il 16% del contributo europeo, pari a circa 90 milioni di euro.
L’energia da fusione utilizza lo stesso processo che produce l’energia del sole e delle stelle e rappresenta una fonte di energia sostenibile, a basse emissioni di carbonio e praticamente inesauribile. La fusione potrà contribuire alla completa decarbonizzazione della produzione di energia elettrica affiancando le fonti rinnovabili e fornendo il carico di base, la potenza minima che deve essere sempre disponibile sulla rete elettrica.
Da un centro che è partner di EUROfusion, ha fatto il giro del mondo: l’impianto Jet, il più grande reattore a fusione nucleare sperimentale finora costruito, ha prodotto 59 megajoules di energia termica in 5 secondi. Un nuovo record. Non una quantità elevata di energia, ma quasi il triplo dei precedenti esperimenti e la conferma di poter ricreare in un reattore i processi che avvengono nelle stelle.
La ricerca sulla fusione nucleare continuerà a vedere l’Italia in primo piano, con ricadute economiche rilevanti su tutta la filiera. Il progetto principale in atto è quello della costruzione di un nuovo impianto di ricerca Dtt (Divertor Tokamak Test facility), in costruzione nel Centro Ricerche Enea di Frascati: l’investimento è di circa 600 milioni di euro. Nell’ambito della roadmap europea, Dtt studierà soluzioni per lo smaltimento della potenza per il reattore a fusione dimostrativo.
“La rete italiana della ricerca sulla fusione, con oltre venti partner tra università, enti di ricerca e industrie coordinati da Enea, rappresenta un caso di successo in termini di contributo tecnico-scientifico al programma europeo, di trasferimento tecnologico e di crescita del sistema produttivo nazionale, con notevoli ricadute economiche. Grazie alla stretta collaborazione tra i laboratori e l’industria, le aziende italiane si sono aggiudicate commesse industriali per un valore totale di oltre 1,3 miliardi di euro, circa il 50% del totale europeo, per la realizzazione del reattore sperimentale Iter attualmente in costruzione in Francia nell’ambito di un accordo internazionale”.
Alla luce di quanto in essere mi accerterò che venga realizzato un grande piano per la realizzazione del nucleare pulito ovunque, in sostituzione dell’attuale idrocarburo, che risulta essere paleolitico, dispendioso ed inquinante, con un coefficiente energetico infimo.